30 November, 2008

ちらし。I volantini delle meraviglie.


Dimenticatevi pure quei tristi fogli ciclostilati su carta colorata, con il prezzo bomba sparato nel bel mezzo, un'illustrazione arrangiata della pizza di turno e almeno 3 diversi tipi di font che rendono il testo praticamente illeggibile. A Tokyo, anche ciò che diventerà presto spazzatura, è comunque fatto a regola d'arte.

Un po' amante del food shooting e un (bel) po' vittima del mio stesso lavoro, quando passo in rassegna la chirashi (pubblicità che ogni giorno intasa la mia cassetta) non posso fare a meno di mettere da parte i volantini dei vari takuhai senmon (servizio di home delivery).


Per gli occhi di un'occidentale i più belli sono certamente quelli del sushi.
Date un'occhiata sul sito della Hishizen per farvi un'idea di quanto sia curata la composizione e, soprattutto, di quanto sia economico il servizio. Per esempio, una cena per quattro composta da ben 44 pezzi assortiti, vi costerà solo 6.300 yen (quelli che sono attualmente i nostri 50 euro). La sorpresa maggiore consisterà però nel ricevere qualcosa di veramente gustoso e praticamente identico a quello rappresentato negli scatti.



Ma anche il volantino della più banale pizza o la più originale OmRice (abbreviazione di rice omelette), sapranno catturare la vostra attenzione e, probabilmente, portarvi a comporre quel numerino magico in quarta di copertina. E io l'ho fatto.

In un momento di grossa crisi di astinenza, dopo aver scartato i gusti più improbabili (vedi foto sopra: pizza con pasta gratinata...) e con aspettative vicine allo zero, nella speranza di ricevere qualcosa che somigliasse almeno alla peggiore pizza delivery di Roma, mi sono buttata su qualcosa di molto simile alla nostra quattro stagioni. Immaginate la mia sorpresa nell'addentare una fetta gigante e profumata, dal fondo croccante e per niente gommoso.

Colpa della fame o nostalgia di casa? A voi il verdetto.
Ma ricordatevi che, ordinando via internet, si ottiene quasi sempre il 5% di sconto.

Se volete andare a mangiare la pizza in una pizzeria tradizionale, aggiungo un paio di link gentilmente segnalati dalla nostra Zazie:
Napulè a Omotesando e Roppongi; Salvatore a Kamimeguro.

23 November, 2008

Taxi Writer


Sono circa tredicimila. Per questo, se alzate un braccio, è quasi matematico che nel giro di un minuto se ne fermi uno. Sto parlando dei famosissimi taxi di Manhattan, gli yellow cabs. Alcune raccomandazioni: a parte fare attenzione ai diritti di precedenza (assicuratevi di non rubare il taxi a qualcuno che aspettava da prima di voi), ricordate di essere molto precisi nel comunicare il vostro indirizzo: non basta dire la via, ma dovrete specificare la cross street (cioè la via più vicina al numero civico che vi interessa che incrocia la strada in cui siete diretti). Esempio: se dovete andare sulla Quinta al numero X, non serve dire Fifth Avenue numero X, sarebbe meglio “Quinta tra la quarantacinquesima e la quarantaseiesima”. Comunque, esiste un video per i turisti che spiega esattamente come prendere un taxi a Manhattan: How To Take a Cab in New York City.


La verità è che gli autisti dei taxi sono per la maggior parte pakistani, o provengono da posti lontanissimi, e nessuno capisce un tubo di inglese, quindi alla fine, anche questo meticoloso video lascia il tempo che trova.


Quello che invece trovo molto interessante, sono le numerosissime storie legate ai taxi di New York. A partire dai film: tutti abbiamo visto Taxi Driver con un indimenticabile De Niro.
In meno abbiamo visto per fortuna la pellicola con Gisel (sì sì la fotomodella) in New York Taxi
una parte ricorderà l’episodio newyorkese del film Tassisti di Notte. Tutte storie taxi addicted.
Anche se il tassista che mi piacerebbe incontrare resta sempre lui, il mitico George del video Father Figure (1987).


Ma ce ne è una in particolare, che mi ha divertito particolarmente ed è quella di Melissa Plaut. Qualche anno fa, Melissa, una laureata trentunenne americana, era impiegata come copywriter presso un’agenzia famosa di Manhattan, ma evidentemente, l’ambiente pubblicitario non le dava più stimoli, così, lasciò tutto e iniziò a fare la tassista a New York, annotando, fotografando, e trascrivendo tutto ciò che incontrava in questa sua nuova vita vista da un sedile di un’auto sul suo blog NEW YORK HACK.


Il suo sito divenne seguitissimo da tutta Manhattan (pare che uno degli scioperi più rispettati sia stato annunciato proprio con un suo post) e alla fine Melissa ha raccolto tutto in un libro, vendutissimo in America, intitolato How I Stopped Worrying About What to Do With My Life and Started Driving a Yellow Cab (come ho smesso di preoccuprami di cosa fare della mia vita e ho cominciato a guidare un taxi) e ora fa la scrittrice. Repubblica scrive riguardo alle storie contenute nel libro:

Dalla donna sulla trentina "decisamente molto incinta" che passa il tempo a cambiare idea su dove vuole essere portata mentre sta al telefono e, una volta messo giù, si scusa: "Mi dispiace ma mio marito continuava ad urlarmi ordini per telefono". Alla bionda affascinante sulla ventina che continua a chiacchierare al cellulare con qualcuno che sta da Burberry's e racconta di una litigata del suo amico Aaron con Jordan, ma proprio sul più bello scende: "E tristemente, non saprò mai come è andata a finire, maledizione", dice Melissa (intervistata dalla CNN).


Ma passiamo a un altro miniracconto divertente, che leggo su Newyorkesi di Tiziana Nenezic, libro che consiglio spassionatamente a chi vuole conoscere il New York’s way of life più autentico:

“tra i miei episodi newyorkesi preferiti mi sento in dovere di includere quello che ha come protagonista il disco-taxi, un yellow cab che si aggirava per il Village fino a non molto tempo fa con tanto di palla strobosopica, misica anni Settanta e una cornucopia di cioccolata, leccalecca e caramelle che andavano dai classici Mars ai Chupa-Chupa al mou. Che figata! Il tutto, musica, dolciumi e verve del tassista, totalmente gratis…"

Certo, più ripenso a Melissa e più mi dico che anche io faccio la copywriter e ho la patente. Mi mancherebbe solo il coraggio di viaggiare di notte con dei perfetti sconosciuti...

19 November, 2008

屋形船。Yakatabune. A cena sulle onde


A vederle dal molo sembrano tanti gusci di noce adornati di lanterne e risate. Ho sempre pensato che, se un giorno fossi salita su una Yakatabune (letteralmente "barca con stanza al coperto"), mi sarei sicuramente trasformata in qualche personaggio delle leggende giapponesi, tanto è magica l'atmosfera che ci si respira dentro.

Immaginate di trovarvi in una profonda sala tatami, il tetto basso e spiovente, intorno a voi lanterne di carta e le luci della città. Potrebbe trattarsi di un qualsiasi ristorante in stile tradizionale, se non fosse che sotto di voi ci sono almeno 10 metri d'acqua.

Tutti gli abitanti doc di Tokyo hanno fatto almeno una volta questa esperienza. E al solo pronuciare questa parola, yakatabune, si illumina loro il volto e lo stomaco comincia a sghignazzare. Infatti la cucina è davvero notevole, a partire dal rinomatissimo tempura, così come lo è il prezzo, tanto che per circa 2 ore di cruising e una cena base si possono anche spendere circa 150 euro.


Ma ora non spaventatevi. Così come ci insegna la nostra Stefi citando la Cheap Bastard Guide, anche a Tokyo ci sono diversi trucchi per divertirsi e spendere poco.
Tra i diversi servizi di cruising, infatti, per risparmiare si può optare su una cucina più semplice e popolare. Per esempio quella che a Osaka spopola sotto il nome di okonomiyaki, e che qui prende il nome di monja-yaki. Con circa 5000 yen (intorno ai 40 euro), si può trascorrere una serata davvero speciale a bordo di un barcone in stile tradizionale.

Rispetto alla più ben nota versione del Kansai, gli ingredienti cambiano ma la tecnica di cottura è la stessa. Si tratta di un trito di verdure, carne, pesce ecc. che viene cotto direttamente sulla piasta situata al centro di ogni tavolo (come potete osservare nella foto sopra), dopo essere stato irrorato da una apposita pastella che donerà al piatto un aspetto simile a una frittatona. Sarete voi stessi a preparare il vosto piatto e ad essere denigrati o meno a seconda della forma che riuscirete a donargli.


Dopo aver lasciato il molo, rimarrete incantati dalle mille luci di una metropoli in continua trasformazione. La meravigliosa Tokyo Tower, cartelloni luminosi di dimensioni esagerate e centinaia di instancabili gru faranno da cornice alla vostra crociera.

13 November, 2008

SEX IN THE CITY

Questo post è consigliato a un pubblico maggiorenne, se hai meno di diciotto anni desisti.

Camminando per la Quinta, un giorno mi trovai sulla destra una strana vetrina, tanto che dovetti tornare indietro perché il suo contenuto mi fu chiaro solo dopo qualche metro. Si trattava di una parete di falli colorati. Infatti, ero proprio passata davanti all’entrata del Museo del Sesso di New York, inaugurato nel 2002. Un cartello avvisa subito i visitatori:


Sì sì certo, è vietato toccare, leccare ecc. gli oggetti esposti, nessun problema, tanto non entro a vedere la mostra fotografica degli animali che si accoppiano.

L’America sa essere famosa per il cattivo gusto. Se volete toccare il fondo e non farvi mancare nulla, leggetevi il libro That's America di Carlo Masi. Scoprirete che esistono il museo dell’assorbente e tanti altri orrori. Ma torniamo sulla Quinta. A parte il busto di Ilary Clinton e le foto degli animali che vi dicevo, forse si può anche saltare. Ma ormai siamo entrati nel mood HOT della città e continueremo per questa strada.
In un recente articolo di Glamour, si parlava proprio del grande successo dei due sexy shop più famosi di Manhattan, Babeland (il sito non rende) e The Pleasure Chest (già meglio).
No! aspettate: niente a che vedere con quegli squallidi negozi delle nostre città italiane.
Parliamo di sexy store frequentatissimi, soprattutto dalle donne, che alle collane di Tiffany preferiscono altri tipi di gioielli. Ho trovato sui rispettivi siti, toys da migliaia di euro.
Mentre alcune cose fanno un po’ impressione a chi non è proprio un abituè, altre sono davvero carine da vedere. Come la Shag Bag, quasi quasi la prendo, costa solo 60 dollari.
Non è facile per una donna italiana trovarsi davanti a tanti oggetti che spingono davanti al limite del tabù, ma va detto che l’argomento grazie a questi store va via via sdrammatizzandosi. E tutto sommato male non può fare a nessuno questa emancipazione. Non è un caso che una puntata di Sex and the City, amato e seguito da molte di noi, sia stata girata proprio qui (ricordate il Rabbit?).

Ma andiamo avanti… Secondo me un fenomeno interessante sono i nuovi negozi di biancheria intima. Se state pensando a Intimissimi siete fuori strada. Sto parlando di posti tipo Kiki de Montparnasse e Myla: dei veri e propri templi erotici dai prezzi non proprio abordabili.
Leggo su un sito:

"Myla, è una boutique del sesso, arredata in argento e noce, il cui catalogo ad ogni ristampa va a ruba e dotata di un sito internet assolutamente trendy, e di una filiale all'interno dei lussuosi magazzini Selfridges.
Myla ha sdoganato il porno rendendolo chic: i suoi vibratori sono esposti come opere d'arte ed i preservativi sono venduti in un'elegante confezione after dinner da 45 euro, mentre i sex toys, ribattezzati gadget erotici sono progettati da designer di culto; il più famoso è Bone, è ispirato ad antichi simboli di fertilità ed è stato disegnato da Tom Dixon."


Alla fine, stiamo parlando di soli 380 dollari. Mi sa che lo prendo, però per metterlo in libreria: non ha un design superlativo? Spero che vi siate divertite, anche se il titolo era un po' scontato (ma azzeccato no?).

08 November, 2008

着物。Di Geisha* e altre storie fluttuanti. Maestra di Kimono.


L'arte è sorpresa, equilibrio, sofferenza, bellezza.
Come un artista cerca i suoi toni tra mille colori, così una Maestra di Kimono crea la perfetta combinazione affinché l'indossare questo abito tradizionale giapponese si trasformi in un'opera d'arte.
Ce ne parla Kanako Osawa, giovane Maestra di Kimono 1kyu** dal 1992.
** 1kyu è il più alto livello in una scala di 3 kyu; solo con il primo shihan 1kyu si può insegnare come indossare appropriatamente il kimono.

Kanako-san, che importanza ha il kimono nella vita di una donna giapponese?
Oggi è rimasta solo come tradizione del nostro Paese, di fatto ormai molto moderno.
Viene indossato dopo i 30 gg dalla nascita, a 3 anni, a 7 anni e a 13 anni (vecchissima tradizione solo in alcune parti del Giappone) per accedere alle cerimonie del tempio shintoista.
Oggi a 20 anni si fa la cerimonia in comune in kimono per festeggiarla. Ogni anno a gennaio il secondo lunedi è la festa nazionale per festeggiare i 20 anni (ndk. 成人式 "seijin shiki". La maggiore età in Giappone si raggiunge a 20 anni). Parliamo di un kimono furisode solitamente regalato dai genitori.
Normalmente, quando ci si sposa i genitori preparano alcuni kimono per la figlia. Una tradizione è quella di inserire un kamon (stemma) della propria famiglia, per non dimenticare il proprio cognome che, sposandosi, la figlia perderà.

Prima dell'occidentalizzazione del Giappone, con che frequenza si indossava il kimono e chi poteva indossarlo?
Praticamente tutti. Ovviamente variavano i tessuti e i colori in base al ceto sociale e all’agiatezza economica. Spesso i pezzi erano anche misti con hakama (tipica gonna pantalone), soprattutto nei periodi economici difficili.

Oggi si vede solo nelle occasioni speciali; ma una volta si indossava normalmente?
Certamente, e specialmente fino a durante il periodo della guerra. Poi, dopo gli inizi degli anni '50, piano piano si è cominciato a tralasciarne l’uso quotidiano.
Solo negli ambienti artistici si è proseguito l'utilizzo quotidiano del kimono (indossato, per esempio, nelle sale da tè dalle geiko).

Cosa significa diventare Maestra di Kimono?
Significa avere una passione dalla nascita per i kimono.
Mia nonna aveva una grossa passione per i kimono e ne possedeva molti kimon; quando da piccola andavo a casa sua ero felicissima. Apriva i cassetti e mi raccontava le storie di un tempo che fu con i vari kimono.
I colori, la femminilità dei gesti ormai sempre piu rari sono un dono prezioso del nostro Paese e incantano qualsiasi straniero.
Capire e sentire le emozioni che può dare un kimono non puo andare perso nel tempo ed è giusto insegnare alle nuove generazioni proprio questo.



Quali sono i motivi che spingono ad intraprendere un percorso così duro, e quanti anni ci vogliono per raggiungere il suo livello?
Con i primi 2 livelli si apprendono le tecniche, le tipologie e moltre altre cose; con l’insegnamento avviene invece l’affinamento reale che, come nelle arti marziali, dà l’opportunità di tatuare nelle testa veramente le procedure e le finezze. Per raggiungere i 3 livelli mediamente ci vogliono 7/8 anni.

Gli occidentali sono molto attratti dalla bellezza di questo capo, ma spaventati dalla difficoltà con cui si indossa. Per questo motivo, nelle sfilate di alta moda si vedono spesso capi che richiamano all'obi o alle maniche del kimono.

Di solito questo genere di abito viene chiamato yofuku (vestito occidentale), per identificare una occidentalizzazione del kimono tradizionale per street ware o alta moda.
Ci sono bellissime idee e colori ma, per il Giappone, non ha nulla a che vedere con il kimono tradizionale.

Cosa pensa delle interpretazioni occidentali di questo capo tradizionale?
Quando vivevamo a Londra ho visto qualche volta signore con jeans e sopra giacca di haori in metro o in autobus e, veramente, sono stata colpita per l’originalità e l’accostamento delicato dei colori e dei disegni.
Quando viene accostato un giusto mix di fusione il risultato è molto bello, oggi in Giappone molti giovani vestono alcuni capi misti, ed bello perché viene trascinata la tradizione pur viaggiando nel futuro. Ovviamente parliamo di capi misti appropriati; ma per eventi importanti, religiosi e ufficiali, il non rispettare le regole tradizionali è inappropriato o meglio intollerato.

*Con il termine "geisha" in Occidente si indica quella che in Giappone viene invece definita "Geiko", ovvero l'artista tradizionale giapponese che esprime la sua arte attraverso la musica, il canto, la danza e la conversazione.
Il termine "geisha" viene introdotto in Occidente dopo l'invasione americana del Giappone durante lo scorso secolo, quando si definivano così le accompagnatrici dei quartieri di Tokyo.
Mentre nell'immaginario occidentale la geisha viene relegata alla semplice funzione di intrattenitrice del pubblico maschile, in Giappone ogni gesto della Geiko deve rappresentare bellezza e armonia, ed ella lavora sodo per esprimere qualcosa di sublime anche nel semplice atto di versare una tazza di sakè.

05 November, 2008

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