
Foto di Daniele Mattioli, tutti i diritti riservati.
"Un bel dì vedremo levarsi un fil di fumo
là sull'estremo confin del mare.
E poi la nave appare.
E poi la nave è bianca...
Entra nel porto, romba il suo saluto.
Vedi? È venuto!"Quando lessi la prima volta il libretto della
Madama Butterfly avevo circa 8 anni. Me ne stavo lì, seduta sul parquet davanti al giradischi, il mio volto di bimba riflesso su ante lucide di ciliegio. Passavo le ore a rovistare tra i vinili di mia madre, starnutivo tra la polvere e mi chiedevo perché Patty Pravo non avesse le sopracciglia.
Una volta la mia attenzione venne attratta da un cofanetto rosso con sopra scritto "Madama Butterfly". All'interno un grosso disco e un libretto un po' ingiallito.
Lo lessi distrattamente senza capirne il significato. Ora conosco tutte le più famose arie di Puccini a memoria.
Londra, 1900. Dopo aver assistito alla Madama Butterfly del commediografo
David Belasco, Puccini decise di rielaborare la rappresentazione concentrandosi su quella misteriosa e affascinante figura orientale: la
geisha*.
Egli compose le sue arie senza essersi mai recato in Giappone, raccogliendo tutte le informazioni come poteva e, in particolare, grazie all'aiuto dell'attrice giapponese
Sada Yakko e alla moglie dell'allora ambasciatore giapponese in Italia.
La prima, disastrosa rappresentazione della Madama Butterfly avvenne il 17 febbraio 1904 al Teatro della Scala a Milano. Il pubblico non capì la delicatezza del dramma e, solo dopo diverse rielaborazioni, l'opera venne finalmente riproposta.
Il dramma racconta della tragica storia d'amore tra il tenente della Marina degli Stati Uniti Pinkerton e la giovanissima
geisha Cho Cho-san (che in giapponese significa appunto
farfalla), figlia di una famosa e ricca famiglia di Nagasaki, caduta in disgrazia dopo il suicidio del padre.
Il tenente Pinkerton, follemente attratto dalla bellissima fanciulla, decide di sposarla per gioco e per appagare i suoi capricci ma con rito giapponese, lasciandola solo un mese dopo per tornare alla sua vera vita in America, con la falsa promessa di ritornare da lei
"a primavera, quando i pettirossi fanno il nido".
Struggente l'aria
"Addio fiorito asil", dove il tenente canta il suo addio con il rimorso nel cuore. Prima di partire, Pinkerton ci rivela di amare sinceramente Butterfly, ma non può più sottrarsi al suo destino.
Butterfly persiste nel suo amore senza mai ascoltare le parole della sua fedele dama di compagnia
Suzuki, ne' quelle del console americano
Sharpless che conosce tutta la verità.
Malgrado la totale assenza di notizie, lei lo attende fiduciosa per tre lunghi anni, ignorando una proposta di matrimonio che potrebbe riportarla a una vita agiata e continuando a sperare di vedere un giorno spuntare
un fil di fumo sul mare.
È durante un dialogo tra la
geisha e il console che scopriamo il vero motivo per cui Butterfly non può dimenticare Pinkerton. Ella infatti gli mostra un bimbo biondo e dagli occhi azzurri. Il servitore
Goro, dopo aver spiato la scena, corre a raccontare a tutti del bimbo. Suzuki lo scopre e lo trascina davanti alla sua signora e, proprio mentre sta per pugnalarlo si sente in lontananza un colpo di cannone: è la
Lincoln, la nave di Pinkerton.
Butterfly impazzisce dalla gioia e ordina a Suzuki di preparare tutto per l'arrivo del marito.
Ascoltate il brano che descrive questo momento, il Flower Duet. La potenza delle voci e la musica trascinante, crederete anche voi di impazzire insieme a Butterfly.
Come farei per un romanzo giallo, non vi racconterò il finale.
Se vi è possibile, vi consiglio di procurarvi un'edizione della Butterfly, possibilmente cantata dalla divina, Maria Callas, e, libretto alla mano, ascoltate l'intensità dell'epilogo.
*Con il termine "geisha" in Occidente si indica quella che in Giappone viene invece definita "Geiko", ovvero l'artista tradizionale giapponese che esprime la sua arte attraverso la musica, il canto, la danza e la conversazione.
Il termine "geisha" viene introdotto in Occidente dopo l'invasione americana del Giappone durante lo scorso secolo, quando si definivano così le accompagnatrici dei quartieri di Tokyo.
Mentre nell'immaginario occidentale la geisha viene relegata alla semplice funzione di intrattenitrice del pubblico maschile, in Giappone ogni gesto della Geiko deve rappresentare bellezza e armonia, ed ella lavora sodo per esprimere qualcosa di sublime anche nel semplice atto di versare una tazza di sakè.